すべての現象には必ず理由がある
Subete no genshou ni wa kanarazu riyuu ga aru
Ogni persona ha un modo differente e,
senza prenderla con malizia da intellettuali, egoistico di interpretare
la realtà. Quello che ci sembra istintivo, ovvero riflettere sugli
eventi come se facessero parte di un'ombra che ci avvolge e relegarli
interamente alla nostra sfera personale, non è altro che il mezzo
cosciente (difficilmente possono essere considerate riflessioni
inconsapevoli) per normalizzare, rendere vivibile un'esistenza. Non
molto tempo fa si credeva (sarebbe ingenuo pensare che non lo si faccia
tuttora) che filosofia e scienza unite non avrebbero fatto che
isterilire il terreno dei rapporti umani riconducendoli alle dinamiche
dello scambio favorevole e della necessità, il tutto condito da un
razionalismo estremo. In realtà un pensiero del genere nasconde
semplicemente una scusa. L'errore sarebbe qualcosa di irragionevole,
estraneo alla macchina umana proprio in virtù di una interpretazione
positivistica e, senza bisogno di esempi, assolutamente priva di
fondamenti concreti del senso di giustizia, concetto diventato una sorta
di pietra lapidaria. E allora si punta il dito sull'ignoranza, sulla
cattiveria, come se la percezione del male fosse sempre presente ma
esterna alla natura umana. Come se l'azione in sé derivasse da una
defezione, un allontanamento da propositi virtuosi. Ma in questo non c'è
nulla di scientifico, difficile persino trovare anche una sola
spiegazione teologica (non ci tengo e sono dell'opinione che sia la
situazione a generare una reazione, indipendentemente dalla solidità
morale e dalle ideologie -intese come concezioni della realtà, di cosa è
più o meno ammissibile). Quando si analizza un evento extra-ordinario,
che interessi la sfera personale o delle proprie conoscenze, si
presentano solitamente queste possibilità: minimizzare la portata
dell'evento stesso, soprattutto se traumatico, come se non ci
riguardasse; affrontarlo come se fosse indispensabile, ed inevitabile,
superarlo (indipendentemente dalla sua comprensione); fermarsi a
riflettere e conficcarsi un paletto nel cuore quando si arriva alla
soluzione.

"Per ogni fenomeno esiste necessariamente una causa",
o meglio una motivazione. Potrebbe dirlo chiunque e non ci sarebbe
nulla da eccepire. Se non fosse che una regola che vale invariabilmente
per qualsiasi fenomeno meccanicistico (compresi alcuni rapporti
interpersonali e le reazioni istintive) non può che descrivere
marginalmente, per sommi capi, tutto quello che passa nella testa di una
persona. Esistono cause evidenti e comprensibili e cause latenti e
assurde. Nell'insieme delle latenti e assurde rientrano tutte le scelte
personali autolesive (per quanto umanissime -chi ha già visto il film
avrà capito a cosa mi riferisco). Per dare un'immagine di quello che
intendo: è come se, volgendo le spalle alla realtà, si osservassero le
cose attraverso uno specchio pensando di trovarsele di fronte. La
differenza sta nell'approccio. Lo specchio è il conforto del malato
(come in un racconto di Kawabata) che vive in fuzione delle immagini che
vi si riflettono. Qualcuno la definirebbe una vita passiva. Può essere.
Ma trovarne una che non dipenda da un artificio immaginativo (speranze,
promesse, progetti, rassegnazione) sarebbe come scoprire che la
salvezza (non il "morto buono, quindi..." tie', scongiuro -intendo
l'aver fatto qualcosa di rilevante o aver lasciato una traccia nella
vita di qualcun altro) dipende da qualche divinità. Impensabile.
Metto dei serci su questo per dare
degli spunti di riflessione (anche malati, eh -sono abituato ai viaggi
mentali). Del film si può dire qualsiasi cosa tranne che sia banale: la
tematica del sacrificio ha qualcosa di religioso ma è slegata da una
reprimenda morale; l'errore umano esiste, viene calcolato, analizzato,
spiegato e punito ma con dispiacere; si tenta quella minimizzazione
dettata dagli affetti ma la verità è carogna e non perdona mai. Alla
fine lo specchio si rompe.
Quando Mary Shelley (o il marito per
lei -non andiamo a ravanare nei letti dei defunti) scrisse Frankenstein
non aveva solo in mente di proporre l'orrore dei romanzi gotici
dell'epoca (anche, ma non era quello il suo scopo), quanto di
evidenziare cosa fa dell'animale uomo un essere umano: la "curiosità" e
la necessità di indagare le cause (del mostro totalmente umano che cerca
il senso della sua esistenza anche attraverso la lettura). Nel racconto
si risolve tutto in maniera tragica, perché la conoscenza è un macigno
legato al collo (alcuni diranno che ci sono libri che sono macigni senza
avere nulla a che vedere con la conoscenza -si possono sempre usare
come armi di distruzione di massa o per fare pesi). La verità pura e
canaglia è presente molto poco nella realtà, anche perché di solito si
fa prima a cambiare vestito (o trucco) che a risolvere le questioni; o
ci si carica di responsabilità non proprie pensando di fare la cosa
giusta, salvo poi rendersi conto che è stato inutile. Un argomento reso
in maniera più efficace in ambito teatrale (Ibsen) e cinematografico (il
Fritz Lang di M -la frase finale della madre), ma che normalmente poco
interessa (tranne nelle sue manifestazioni morbose).
Rivedendo la scena (la migliore
secondo me) di Ishigami (parlo ancora a chi il film l'ha già visto) che
immagina sulle pareti della cella il problema dei quattro colori credo
che uno debba avere in mente il senso della diversità reale (quella alla
quale Yukawa non vuole arrendersi, facendo prima spallucce e poi
quasi allontanandosi dal proposito di cercare la verità): che "regioni
adiacenti non devono avere lo stesso colore" può non fregarcene
assolutamente nulla e sembrare una nerdata da matematico, se non
fosse che l'enunciato del teorema/problema descrive perfettamente lo
stato in cui i protagonisti si trovano. La vicinanza di Ishigami con la
venditrice di bentou, Hanaoka, da immaginata diviene effettiva solo per
cause fortuite. Il fatto che sia una vicinanza funzionale e inscindibile
da una particolare situazione non la rende duratura. Lo stesso vale per
l'amicizia tra Ishigami e Yukawa, c'è una separazione di intenti: da
una parte il gesto (non quello di costituirsi, quello impensabile)
dell'uomo razionale, dall'altra il tentativo della ragione di piegarsi
al sentimento (e di considerare apriori inconcepibile che un proprio
amico abbia... etc etc). Ma in questo caso è la diversità che
rende possibile la vicinanza. Non la diversità fisica (quella invidiata
da Ishigami), ma quella che fa comprendere lo stato psicologico
dell'altro (l'avrebbe potuto di Ishigami durante la tormenta e le
perplessità di Yukawa nella risoluzione positiva della vicenda -il
"perché sei un amico" e il discorso con Utsumi nel laboratorio). Non
sono spiegazioni scontate. L'atteggiamento di Ishigami poi è riassunto a
perfezione dalla strofa della canzone finale (bravo Masaharu, credo
l'abbia scritta lui) in cui si dice "Aisanakute ii kara, tooku de
mimamottete" (che ho tradotto "Puoi anche non amarmi, basta che mi
osservi da lontano"): una condizione che penso chiunque vorrebbe evitare
se ama qualcun altro, ma che chiarisce come vada interpretato il gesto
(di devozione e dedizione -alla persona e ai propri sentimenti verso
quella persona- finanche all'esclusione della felicità). Difficilmente
si rinuncerebbe coscientemente ai propri interessi per un altro, è per
questo che in un mio precedente commento avevo scritto che le relazioni
sono egoistiche. Anche questa lo è ma non perché 1) lei non capisce
finché non ha letto la lettera, 2) lui si assume interamente la colpa e,
a tal fine, crea un'immagine negativa di sé che condizioni lo
stato d'animo (inde credibilità -per quello che lo stesso Yukawa dice a
Yasuko) di lei; ma perché è fondata sull'assunto di lei che le
attenzioni di lui siano morbose (impressione indotta dalla precedente
esperienza matrimoniale e anche dal "piano") e sull'assunto di lui che
esistano vite utili alla bisogna (il "per proteggerle, hai..." e il
"come orologi..." in riferimento ai senzatetto). L'egoismo sta nel
servirsi degli altri, applicando una propria "giustizia sociale" e,
ripeto, non c'è nulla che può autorizzare una tale presa di posizione.
E' solo per questo che il film ha avuto un certo finale: non per
equilibrare il torto ma per separare la pianificazione razionale di un
omicidio (della serie "pericoloso lo stupido, peggiore il genio") dal
sentimento che c'è e commuove. Poi uno può definirlo amore o
gratitudine, poco importa. Forse la scelta di aprire il film con
l'esperimento sul principio di conservazione dell'energia -attenzione,
qua mi è partito il cervello- voleva anticipare il trasferimento
dell'intento suic... omissis omissis... così da leggere tutto come il
completamento del principio stesso (una vita andava sacrificata -non
sono della stessa opinione morale ed è un forse).
Dopo il sermone che potrebbe farmi diventare Papa (o Papi) all'istante, meglio passare alla trama.
Le basi sono le stesse della serie e dello special. Il professore associato del Dipartimento di Fisica dell'università Teito, Yukawa Manabu (interpretato da Fukuyama Masaharu) si trova coinvolto nelle indagini che la detective Utsumi Kaoru (interpretata da Shibasaki Kou) e il detective Kusanagi Shunpei (il sempre all'altezza Kitamura Kazuki)
devono svolgere per accertare la verità su un misterioso e
particolarmente violento caso di omicidio. La vittima è stata trovata
nuda, con segni di strangolamento, faccia fracassata, polpastrelli
bruciati in un parco di Oomori. A differenza della serie, pensiamo
di sapere in partenza chi cosa quando come ma non perché e siamo già
fuori strada. La parte investigativa ha rilevanza solo in relazione
all'atteggiamento maschilista nei confronti di Utsumi (il commissario
stronzo che la tratta come una cameriera per il fatto che è l'unica
donna -non rappresenta una situazione improbabile) e per dare risalto
alla recitazione di Kitamura e ad alcune scene (i cadaveri recitano
sempre bene). Per il resto si può dire che non sia un film di genere
(ovvero investigativo). E' piuttosto un dramma, senza risate larghe (ad
eccezione della fissa del professore per la bellezza e tutta la
spiegazione dello sdoppiamento -ipotesi per assurdo) in cui le parti
fondamentali sono quelle dei coprotagonisti (entrambi candidati nella
32esima edizione dei Japan Academy Awards -non fosse stato che ha vinto praticamente tutto e giustamente Okuribito): il timido e solitario professore di matematica, Ishigami Tetsuya (interpretato dallo spettacolare Tsutsumi Shin'ichi), e la venditrice di bentou, Hanaoka Yasuko (interpretata da Matsuyuki Yasuko -già grandiosa in DMC e Suna no Utsuwa-
che qui dà il suo meglio). I due vivono in appartamenti vicini di un
condominio (di quelli a due piani con le scalette -tipo motel): lui è
una persona schiva, "marginale" (non si evidenzia), preso solo dai
numeri e dalle scalate; lei è una donna sola con figlia che ha
abbandonato la vita odiosa con il marito ed è riuscita a realizzare il
sogno di gestire un suo negozio. La storia prende una brutta piega dalla
ricomparsa del classico "ex marito impenitente che ce riprova sempre" e
li coinvolge in maniera inaspettata (e insperabilmente vista la
reazione del matematico): una scena in cui le attrici, nei ruoli di
madre e figlia, hanno dato molto (tra capocciata alla trave, volo sul
pavimento e strangolamento).
Senza raccontare troppo nel dettaglio,
la storia prosegue abbastanza speditamente alternando scene di
concitazione (quella descritta, l'uccisione che ricorda, non a caso
-impressione mia-, quella in Suna no Utsuwa -sul tentativo di rendere
irriconoscibile il corpo- e quella interna della montagna -lo sguardo
assassino) a scene di perfezione registica (le telefonate, la
dissolvenza nella cucina di lei, tutta la parte dall'apertura della
lettera alla fine del discorso in laboratorio con Utsumi, la scena
finale -prima della panchina). Unici effetti speciali l'esplosione (se
tiravano una palla di cannone usciva il fungo atomico) e il "doppelgänger" (la parte più divertente).
Il fatto che il regista (Nishitani
Hiroshi -lo stesso di alcune puntate della serie, 1-2-6) abbia puntato
su una forma di narrazione atipica (che riesce anche ostica quando si
cerca di far capire il senso di "Quello che sembra un problema di
geometria nasconde in realtà un problema di analisi" a chi di certe cose
odia solo il sentirne parlare) pare aver dato i suoi frutti. Il
risultato è quel risvolto inquietante che non avevo previsto (dato che
nella serie appare tutto fin troppo chiaro subito -le differenze con il
film sono lampanti), pensando che il sacrificio consista nell'assunzione
di responsabilità quando in realtà... come si dice "Perché parlarne se
non ha attinenza con il caso?". Se uno riflettesse su ogni parola detta
impazzirebbe. Ma è nel tralasciare le cose insignificanti che si perde
di vista il succo dell'amaro calice che mi sono scolato abbondantemente
(e più volte).
"Tra il creare un problema che nessuno è in grado di risolvere e il risolvere lo stesso problema, qual è la cosa più difficile?"
La storia sembrerebbe girare intorno a
questa domanda, se per difficoltà si intende anche quella di accettare
le conseguenze della scelta. In questo senso sia chi pone il problema
(Ishigami) che chi tenta di risolverlo (Yukawa) si vengono a trovare in
strade senza vie di uscita: che ci sia da parte dell'uno accettazione
passiva e da parte dell'altro amarezza (e delusione) non cambia nulla.
Se il fisico avesse negato la realtà sarebbe andato contro i suoi
principi, se il matematico si fosse comportato diversamente avrebbe reso
vani tutti i suoi sforzi per garantire serenità alle persone che voleva
proteggere. Il percorso più semplice è anche quello più complicato da
trovare ma la difficoltà vera sta nell'immaginare i motivi che portano a
scegliere il percorso più frastagliato (e pericoloso). La
semplificazione delle leggi che descrivono i fenomeni è inevitabile e
utile per spiegarli ma non considera gli eccessi della ragione: è per
questo che lo "scambio" del film, in quelle determinate condizioni, con
quella volontà precisa, rappresenta la scelta più astrusa solo per chi
il problema si trova a doverlo risolvere. E per risolverlo non può fare
altro che cambiare la propria prospettiva, ammettere l'inammissibile e
valutare gli svantaggi che questo ragionamento comporta. Non uno scontro
tra persone, tra intelligenze, ma tra quello che si ritiene giusto e la
verità, senza neanche la consolazione di un premio minore.
Un film che non dovrebbe lasciare
indifferenti: storia non banale, recitazioni anche notevoli (Tsutsumi e
la Matsuyuki li adoro, anche i "nostri" della serie -
Maya!!!- e pure la ragazzina -ma non in veste di Papi sia chiaro, ne basta e avanza uno in Italia), regia 8/9.
Non fossilizzatevi sui concetti di
amicizia e amore, non andate alla ricerca angosciosa di tracce che
facciano presagire intrallazzi finali perché la parte più inquietante e
significativa riguarda la considerazione umana. Buona visione!
Informazioni generali
Titolo originale:
容疑者Xの献身 - Yougisha X no Kenshin
Titolo italiano: La Devozione del Sospettato X
Il film, basato sull'omonimo romanzo di Higashino Keigo, è uscito nelle sale giapponesi il giorno 4 ottobre 2008, in contemporanea con la messa in onda televisiva dello special.
Regia: Nishitani Hiroshi
Cast: Fukuyama Masaharu (nel ruolo del professor Yukawa Manabu -alias "Henjin Galileo", Galileo lo strambo), Shibasaki Kou (nel ruolo della detective Utsumi Kaoru), Tsutsumi Shin'ichi (nel ruolo di Ishigami Tetsuya), Matsuyuki Yasuko (nel ruolo di Hanaoka Yasuko), Kitamura Kazuki (nel ruolo del detective Kusanagi Shunpei), Kanazawa Miho (nel ruolo di Hanaoka Misato), Watanabe Ikkei (nel ruolo dell'assistente Kuribayashi Hiromi), Maya Miki (mitica -nel ruolo del medico legale Jounouchi Sakurako), Shinagawa Hiroshi (nel ruolo di Yuge Shiro), Dankan (Iizuka Minoru nel ruolo di Kudou Kuniaki), Nagatsuka Keishi (nel ruolo di Togashi Shinji).
Guests: Ishizaka Koji (il grande Azuma-sensei di Shiroi Kyoto nel ruolo di Arizono Fumio -spero di aver messo la lettura giusta dei kanji), Hayashi Yasufumi (nel ruolo di Kagimoto), Masuoka Tooru (nel ruolo del commissario Katsuragi Shujiro).
Premi e riconoscimenti: premio "Popolarità" ai Japanese Academy Awards; premio come miglior attore non protagonista agli Hochi Eiga Shou (Hochi Film Awards) per Tsutsumi Shin'ichi; condidature come miglior film, miglior attrice non protagonista (Matsuyuki Yasuko, in corsa anche per DMC) e miglior attore non protagonista
(Tsutsumi Shin'ichi, in corsa anche come miglior attore protagonista
per Climber's High) ai Japanese Academy Awards; candidatura per il miglior attore non protagonista (sempre Tsutsumi) agli Asian Film Awards.
Torrent e link diretto: